Dialetto e costumi di Pisticci
Il dialetto di Pisticci ha le tipiche caratteristiche del dialetto meridionale delle terre lucane, con origini greche e latine e influenze spagnoli e francesi, in base alle differenti dominazioni avvenute in queste terre. Importanti influenze di impronta anglosassone, giunte dalle emigrazioni d’oltreoceano, testimoniano il vasto fenomeno migratorio.
Comunemente definito “cantante” il dialetto pisticese infatti è costituito da una fonetica che si orienta spesso verso la cantilena, infatti in passato era diffusa una notevole tradizione basata sul canto funebre: “a nnaccarata” che ricorsa la trenodia greca o le preficae di origine romana. Manifestazioni che si svolgevano innanzi al defunto al fine di stemperare il parossismo fisico dell'autopercuotimento e delle ferite sul volto tramite esposizioni poetiche per far rivivere il defunto tramite l’elogio delle sue gesta nella vita terrena.
La struttura e le modalità si ripetevano ma il contenuto della lamentazione era ogni volta differente, l’esposizione molte volte diventava competizione tra le interpreti quasi una gara tra chi riusciva a celebrare meglio la memoria del defunto. Il dialetto originario è stato quasi del tutto abbandonato, in sostituzione è presente la forma inflazionata dall’Italiano, anche se possiamo ritrovarne alcune tracce in molti termini del parlato odierno.
Abito tradizionale
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Il costume femminile
La Pacchiana era l’abito tradizionale della donna pisticcese, era composto da una gonna di panno scuro con pieghe larghe la “vunnèdd” chiusa da una cintura “u cinte” posta sulle anche sulla quale era presenta “u senale” di seta nera e un corpetto riccamente ricamato “u sciupp”. In realtà la gonna era tipica delle fanciulle che indossavano tale abito per all’abbandono della loro adolescenza e l’ingresso nell’età da marito. Infatti la gonna di tessuto scuro con pieghe larghe, spesso decorata da preziosi ricami di fili d’oro, era indossata come una “stuana”.
Un altro indumento tipico era la “sciarpett” solitamente bianca era una stola posta sulle spalle e scendeva fino a coprire il petto, bianco era anche il colore delle maniche della camicia, solitamente gonfie e orlate di merletti pregiati, in caso di lutto avvolti da un nastro di seta nera. Infine “u sciuppe”, un corpetto di velluto impreziosito da frange e ricami e un copricapo “u panne”, solitamente in lana o di seta. Tale costume presenta caratteristiche estetiche uniche nel suo genere in tutta la Lucania, infatti ha catturato l’interesse di Carlo Levi che lo ricorda nei suoi scritti celebrando la ricchezza e lo sfarzo che lo contraddistinguono da quello di Galliano.
Possibili interpretazioni fanno riferimento ad un ruolo femminile molto ben definito: la donna pisticese preferiva prendersi cura della casa e dell’educazione del propri figli piuttosto che accompagnare il marito nei campi. Ciò è avvalorato dalla cura minuziosa, presente nel paese, verso tutto ciò che gravita attorno alla casa compresa la strada e il marciapiede stabilendo sempre una sorta di coerenza con l’abitazione. Infatti nel rione Dirupo sono degne di nota le case con tetto spiovente bianche e allineate e la sensazione di ordine e pulizia che la frazione infonde.
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Il costume maschile
I vestito tradizionale dell’uomo era caratterizzato da pantaloni di stoffa di fustagno corti, chiusi sotto il ginocchio con una ghette, un’ampia giacca alla cacciatora sempre in fustagno e velluto, una camicia di tela senza colletto sulla quale veniva posto uno smanicato. Infine un cappello a tese dure e, usato d’inverno come riparo dal freddo, un mantello a ruota.
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